Calcio Italiano Lavezzi: «De Laurentiis, la pazienza ha un limite»

Lavezzi: «De Laurentiis, la pazienza ha un limite»

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L’argentino: «Non sono stato creduto sulla storia del passaporto. Non mi è piaciuto, è dipeso da lui»

 

LavezziStanchi sarete voi: ma quel matto – el loco – indemoniato, che al novantunesimo ha an­cora la lucidità per scattare, dribbling secco e assist, è un uomo dalle sette vite, capace di fre­garsene del jet lag e dei tormentoni, di sistema­re prima il Bologna e poi d’inventarsi un colpo d’ala via etere, lanciando al Diario Olé la sua ri­chiesta di comprensione e pure un pubblico messaggio d’irritazione che quasi diviene un av­viso. «Io non capisco perché non debba essere creduto. Diciamo che qui va tutto bene, ma in realtà non va tutto bene. E ciò dipende da él. Ma uno sopporta sino ad un certo punto». Una ma­no sul cuore e l’altra sul passaporto nuovo di zecca – timbro: 15 ottobre 2009 – per chiudere una vicenda che ha lasciato strascichi e che La­vezzi s’è portato tra le finte e le controfinte d’una domenica vissuta sotto un fascio di luce accecante, pardon abbagliante, pardon irritan­te: «Io non so perché debba essere messa in di­scussione la mia tesi: che senso aveva perdere un giorno in giro per uffici a fir­mar documenti? Avrei capito se fossi rimasto via il fine settima­na: ma invece è dimostrabile co­m’è andata la vicenda. Io al Na­poli sto bene, sono venuto per gio­care, non per far polemiche, a me queste discussioni non piacciono. Ma dipende da él». Dipende da Aurelio De Laurentiis, che l’ha rosolato per quarantotto ore, preannunciando poi l’intervento futuro di dirigenti partenopei in versione tutor destinati a seguire gli argenti­ni in giro per il mondo; dipende dal presidente, che nella interminabile vigilia di Napoli-Bolo­gna s’è gonfiato d’ira per il secondo incidente di percorso – Datolo fu il primo – e per quel rischio di pregiudicare una sfida poi autografata da Ezequiel Lavezzi a modo suo, prima un contro­piede di sessanta metri sprecato per sfianca­mento, poi la perla per il 2-1 di Maggio. «A me una cosa del genere non era ancora accaduta, eppure sono stato convocato varie volte in Na­zionale, prima da Basile e poi da Maradona. Non c’era alcuna necessità di starmene per ventiquattro ore a correre di qua e di là per si­stemare la faccenda. Ma evidentemente voglio­no credere che creiamo problemi. Invece no: io dall’Argentina ho telefonato a Bigon, il diretto­re sportivo, e a Mazzarri, l’allenatore, ai quali ho spiegato e dai quali sono stato preso in pa­rola».

Fonte: Corriere dello Sport di Antonio Giordano
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